Venerdì, 04 Luglio 2008 08:51

LA CENTRALE A “CARBONE PULITO” DI SALINE

 

Nell’immaginario collettivo il carbone appartiene a un passato problematico, sporco, pieno di sofferenza e disagi sociali: come un pericoloso fantasma che ha imbrattato di caligine i cieli della nostra storia, il carbone fa parte degli incubi della modernità. È comprensibile, quindi, la quasi unanime levata di scudi contro la centrale a carbone progettata dalla SEI all’ex Liquiquichimica di Saline. Questa opposizione integralista è anche giustificata?

Il carbone, che ancora oggi assicura il 20% del fabbisogno energetico primario dei Paesi sviluppati e una percentuale molto superiore di quelli emergenti, è tornato prepotentemente in auge grazie al suo basso costo e alla sua grande disponibilità (secondo stime equilibrate, infatti, ce ne sarebbe a sufficienza per almeno un altro secolo). La politica mondiale è oggi molto attratta dall’idea del “carbone pulito”, tant’è che nel Regno Unito e in USA sono già in fase di costruzione nuove centrali.

I problemi legati allo sfruttamento energetico del carbone possono essere sostanzialmente raccolti in tre categorie: a) dissesto ambientale nei siti di estrazione e salute dei lavoratori; b) inquinamento da polveri, metalli pesanti e altre sostanze in prossimità delle centrali e dei siti estrattivi oltre che lungo le vie di trasporto; c) immissione di grandi quantità di CO2 nell’atmosfera a seguito della combustione. Analizziamoli in un’ottica localistica.

Il primo problema non ci riguarda: non vi è estrazione perché il combustibile viene fornito dalle navi carbonifere; la salute dei lavoratori, come in tutte le centrali di nuova generazione, è ampiamente salvaguardata.

Per quanto riguarda l’inquinamento da polveri e metalli pesanti, ci riguarda solo quello paventato in prossimità della centrale: le tecnologie attualmente in uso nelle nuove centrali a carbone e specificatamente previste per Saline sono ampiamente in grado di abbatterlo. È possibile, infatti, eliminare la totalità degli ossidi di azoto (NOx) e dello zolfo dai fumi di scarico, nonché abbattere le polveri sottili fino alla famigerata PM10. Un problema potrebbe essere rappresentato dalle polveri ultrasottili, le PM02, che non sono intercettabili al 100%: sarebbe comunque un falso problema, dal momento che questi residui infinitesimali verrebbero spalmati su un territorio di centinaia di chilometri quadrati su cui non insistono altre fonti di PM02 in grado di generare un effetto sommatorio.

 Il terzo aspetto problematico è quello relativo alle emissioni di CO2: a parità di energia prodotta, il carbone è la fonte fossile più inquinante in termini di contaminazione ambientale e di produzione di gas serra. Anche se questo “sensu stricto” non è un problema locale, quindi non attinente al livello locale di discussione, per una miglior comprensione della tematica è utile fare qualche precisazione. Oggi sono disponibili tecnologie che promettono di sequestrare la CO2 evitandone la dispersione in atmosfera. Le più evolute e promettenti sono: il sequestro geologico; il sequestro oceanico; la conversione in composti carbonati stabili e non volatili. La SEI è già in possesso della tecnologia per la cattura del 100% del biossido di carbonio.

Ciò detto, in mancanza di progetti alternativi validi, ritengo che non si possa essere aprioristicamente contrari all’ipotesi della riconversione dell’ex Liquichimica in centrale a carbone: tutta la questione andrebbe rivalutata, sulla base di dati scientifici certi, con la mente libera da preconcetti e da integralismi ideologici oltre che in un’ottica doverosamente localistica.

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