riconoscendo comunque che, tenuto in debito conto la recente storia reggina caratterizzata dall'interregno di Giuseppe Raffa e l'avversa congiuntura nazionale e internazionale, più di quanto è stato fatto, della qual cosa si deve ringraziare oltre all'attuale sindaco Demetrio Arena anche l'ex assessore all'urbanistica Luigi Tuccio, era impossibile fare.
C'era una volta un sindaco che aveva stipulato una convenzione tra il Comune di Reggio e Italia Navigando per il riequilibrio funzionale del porto, che sarebbe diventato capace di accogliere il diportismo nautico con un migliaio di posti barca. Anche alla luce della disponibilità dimostrata dalla Capitaneria e dell'utilizzo di fondi del Decreto Reggio per il prolungamento del lungomare fino alle banchine portuali, si sarebbe ridisegnato il volto della zona della città prospiciente alla rada dei giunchi modificandone l'assetto prevalentemente residenziale in senso turistico-commerciale.
Sarebbe stato riduttivo considerare le ricadute positive della convenzione in relazione a un solo quartiere della città: con la valorizzazione e riutilizzazione delle strutture portuali cittadine, sarebbe stata l'intera città e il suo hinterland a trarne giovamento. Si sarebbe infatti innestato un eccezionale circuito virtuoso dovuto alla contemporanea costruzione di due porticcioli turistici, a Pellaro e Catona, in grado di ospitare rispettivamente 200/250 e 300/350 imbarcazioni da diporto: il primo con strutture leggere e senza alcuna modifica ambientale; il secondo con un sensibile cambiamento della zona a nord dell'abitato di Gallico, concretizzantesi in un canale a forma di ferro di cavallo che, delimitato da moli perpendicolari all'asse costiero, si sarebbe addentrato nell'entroterra.
Anche il resto della Provincia era interessato alla portualità turistica con una serie di opere marittime: a Scilla il prolungamento della banchina, per ampliare la zona di mare destinata al ricovero delle imbarcazioni; a Villa il prolungamento del molo in località "croce rossa", per renderlo agibile agli attracchi di mezzi di collegamento veloce con la Sicilia e le isole Eolie oltre che per ricavarne un porticciolo con una capacità di accoglienza per 200 barche; a Bagnara la soluzione dell'annoso problema dell'insufficiente protezione, che determinava la necessità di tirare spesso a secco le barche in presenza di mareggiate; a Gioia Tauro la creazione, a ridosso dell'entrata al porto, di un insieme di approdi turistici capaci di dare accoglienza a più di mille imbarcazioni; a Palmi la definizione di un suo approdo; a Bova il completamento della struttura portuale con appositi pontili; a Melito, che non ha porto né turistico né per pescherecci, la creazione di uno ex novo; a Saline la soluzione dell'insabbiamento; A Roccella lo sfruttamento razionale dell'esistente.
La portualità turistica della Città dello Stretto da un'offerta di approdi turistici deficitaria, o quasi inesistente, stava andando verso un eccesso di ospitalità ai diportisti nautici? L'offerta, indubbiamente esuberante in una proiezione temporale limitata ai successivi lustri, non lo era se si volgeva lo sguardo un po' più avanti nel tempo e si pensava ai trend economici e demografici internazionali che avrebbero interessato le rive del Mediterraneo: la scelta di mettere i motori avanti tutta puntando decisamente allo sviluppo della ricettività nautica poteva rivelarsi lungimirante e illuminata (soprattutto in considerazione dell'indotto occupazionale quantificabile in non meno di un'unità lavorativa per ogni 8 posti barca, comprendendo tra questi da quelli dedicati alle grandi imbarcazioni fino ai piccolo gozzi).
A quali trend ci si riferiva? La loro analisi partiva da un dato empirico: la popolazione della fascia mediterranea del parallelo 38, ovvero della penisola iberica e dell'Italia meridionale con la Grecia e la Turchia costiera, stava aumentando senza un sostanziale incremento della natalità. Il perché del trend lo scopriremo nella seconda parte della favola sulla portualità turistica della Città Metropolitana dello Stretto.