Delle tipe intriganti le palme washingtoniane: con i loro 20 metri di altezza e solo 80 cm di diametro, sono nello stesso tempo esotico-caraibiche e, con un rimando immediato alla Los Angeles degli stravisti telefilm, perfettamente hollivoodiane: fanno scena, insomma, come può tenere il palcoscenico una fila di subrettine d'avanspettacolo che sculettano e fanno sbavare una platea di masturboni
Fare scena, infatti, non significa fare bella scena. In questo caso significa: cedere ai canoni estetici dell'homo banalis, involuzione teledipendente dell'homo sapiens; nutrirsi degli stereotipi massificanti della globalizzazione made in Usa e rigettare il locale come non di moda; cedere alla colonizzazione del piattume e rifiutare ciò che fa parte della propria storia e del proprio territorio; stravolgere un paesaggio urbano dello Stretto per sostituirlo con uno non nostro.
Ottantamila euro buttati al vento per sostituire 20 "essenze ammalorate" e pericolose. Anche se si usa un succedaneo del "latinorum" di manzoniana memoria per confondere le acque, nessuno è tanto sciocco da crederci: le piante erano sanissime e non erano per nulla pericolose. C'è qualcosa di molto poco chiaro in tutta questa operazione: se si vuole fare buona amministrazione, il responsabile dell'operazione dovrebbe essere mandato a casa a estirpare le erbacce dal proprio orticello, se proprio vuole continuare a occuparsi di giardinaggio.