In queste ultime settimane una serie di avvenimenti si sono inanellati, o sovrapposti senza oscurarsi, embricati direi, come se fossero stati ordinati sulla base di un disegno provvidenziale: l’idea dell’emendamento al testo del DDL 2105 sulla riforma dello Stato in senso federale, cui si deve dare indubbio merito al neosegretario del PD reggino avv. Giuseppe Strangio; il possibile prestito dei nostri Bronzi in occasione del G8 alla Maddalena; il via libera da parte del CIPE al Ponte sullo Stretto. L’emendamento presentato come prima firmataria dall’on. Laganà il 26 febbraio, teso al riconoscimento dell’area metropolitana di Reggio Calabria, pur appoggiato dalle forze politiche cittadine dell’opposto schieramento con un gesto di sana lealtà politica, non avrebbe avuto un iter parlamentare facilitato: l’oggettiva debolezza strutturale del territorio (nonostante la metropolitana di superficie Melito/Rosarno e la presenza del porto di Gioia) avrebbe reso difficile il riconoscimento per Reggio di una dignità pari alle altre città metropolitana identificate nel DDL 2105 (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli). La coincidenza del G8 e della richiesta d’utilizzo dei Bronzi, pur non potendo identificarsi come un possibile “do ut des”, ha comunque evidenziato una non sfavorevole “presenza” cittadina in ambito nazionale e sovranazionale. Questa presenza è stata ulteriormente evidenziata dall’essere posta in territorio reggino una delle due gambe di quel ponte che dovrebbe rappresentare un simbolo planetario di avanzata tecnologia costruttiva. Inter nos dobbiamo ammettere che l’esistenza dei Bronzi, casualmente ritrovati nel nostro mare, e la costruzione del ponte, su cui si è deliberato con decisioni che ci sono passate sulla testa, come anche la presenza del porto di Gioia, fortunosa eredità compensativa del 1970, sulla base di criteri oggettivi difficilmente possono giustificare la promozione ad area metropolitana di una fascia costiera debolmente infrastrutturata e con soli trecentomila abitanti. Ma la politica, quella buona che investe e scommette nel futuro, è anche fantasia e immaginazione: ed è così che avendo tre icone planetarie (il Porto più grande del Mediterraneo, i Bronzi più grandi e maestosi, il Ponte a campata unica più lungo) Reggio potrebbe acquistare, con la fantasia e l’immaginazione di una politica che sa investire nel futuro, quella dignità di grandezza metropolitana che i freddi numeri non le darebbero. Persa questa occasione è impossibile che se ne crei un’altra simile: sono passati più di trenta anni da quel 23 marzo del 1982, quando (a firma di Calarco, Vincelli, Santalco, Genovese, Fimognari) venne presentata in Parlamento con un ordine del giorno, accettato dal Governo, un’ipotesi di sviluppo dell’Area dello Stretto che si rifaceva al documento programmatico 1970-1975 del Ministero del Bilancio (all. IV pag. 51 e segg., 1970), compreso nel cosiddetto “Progetto 80” (in cui si evidenziava l’importanza per il Sistema Italia di un efficace collegamento isola/continente che non fosse puramente strumentale-tecnico ma passasse anche attraverso una solida e strutturata integrazione socio-economico dei territori). Allora poi prevalsero le parole e non se ne fece nulla. Non ci sarà una terza chance se non forse tra altri trenta/quaranta anni. Oggi, se passa l’emendamento al DDL 2105, saltando le pastoie costituzionali derivanti dall’essere la Sicilia una regione a statuto speciale, con l’area metropolitana di Messina si potrebbe instaurare un “consorzio” interregionale che di fatto creerebbe quella Città Metropolitana dello Stretto cui si ambisce.