PRESENTAZIONE DEL VOLUME DI C. B. FIMOGNARI - 02 LUG 21 - “QUEL GIORNO, ALLA FINE …”

FIMOGNARI 02 LUG 21 – “QUEL GIORNO, ALLA FINE …”

Uno dei nodi fondamentali della critica letteraria è la questione, mai risolta, affrontata da Marcel Proust nel suo Contre Saint-Beuve, iniziato nel 1908/1909 insieme alla Recherce, lasciato poi incompleto e pubblicato postumo nel 1954.

In sintesi, si confrontano due visioni collidenti.

Saint-Beuve: «Per me la letteratura non è distinta o, per lo meno, separabile dal resto dell'uomo e della sua organizzazione»; Proust: «Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi».

In altri termini: per il primo l’opera letteraria non può essere giudicata indipendentemente dall’analisi e valutazione di tutto il percorso di vita dell’autore, dalla sua biografia, da tutto quanto ha pensato e prodotto; per il secondo, invece, nella valutazione di un prodotto dell’ingegno umano si deve operare, estendendo il concetto, con quella che Kundera definisce come “sospensione del giudizio morale” ovvero prescindere da vizi e virtù dell’autore, dalle sue preferenze o idiosincrasie.

Questione mai risolta e ancora attualissima. Basti pensare al Nobel per la letteratura assegnato nel 2019 a Peter Handke, contestato per la posizione filoserba assunta nel conflitto balcanico degli anni Novanta, spintasi fino al negazionismo sul massacro di Srebrenica, e concretizzatasi nel 2006 col discorso pronunciato al funerale di Slobodan Milošević, morto in attesa di essere giudicato per genocidio dal tribunale internazionale dell’Aia.

Personalmente propendo per l’impostazione proustiana: la biografia dell’autore non dovrebbe entrare a far parte del giudizio sull’opera letteraria. Con un’eccezione, rappresentata dal volume “Quel giorno alla fine …” di Giuseppe Fimognari. È talmente intriso di se stesso, perché noi siamo ciò che di noi ricordiamo e facciamo ricordare, che è impossibile una valutazione oggettiva che prescinda dall’analisi del magistero di vita e professionale del Nostro.

Ma pur abbandonando Proust per Saint-Beuve, per quanto riguarda il rapporto tra opera letteraria e biografia dell’autore, non si può non citare Proust quando spiega per quale motivo è spinto a scrivere La Recherce, che intuitivamente è lo stesso motivo che ha spinto Fimognari a iniziare e continuare e completare il suo lavoro.

«Sono giunto a un momento della mia vita o, se si preferisce, mi trovo in quelle circostanze in cui si può temere che le cose che più desideravamo dire […] ma che non abbiamo letto da nessuna parte, che si può presumere non verranno mai dette se non lo diciamo noi […] non si possa più, improvvisamente, dirle. Noi ci consideriamo come i depositari, soggetti a scomparire da un momento all'altro, di segreti intellettuali esposti a scomparire con noi. E vorremmo vincere la forza d'inerzia della nostra pigrizia interiore, obbedendo al bel comandamento del Cristo nel Vangelo di san Giovanni: “Lavorate finché avete ancora la luce”».

Vi è un altro aspetto del pensiero critico letterario di Proust, largamente influenzato dalla filosofia di Henri Bergson, che ci lascia perplessi, almeno nell’analisi dell’opera di Fimognari: è quello del rapporto tra istinto e intelligenza, ovvero tra sentimento e razionalità.

«Ogni giorno attribuisco minor valore all'intelligenza. Ogni giorno mi rendo sempre meglio conto che solo indipendentemente da lei lo scrittore può cogliere nuovamente qualcosa delle sue impressioni, ossia qualcosa di lui stesso […]. Quel che l'intelligenza ci restituisce sotto il nome di passato, non è tale […]. Quest'inferiorità dell'intelligenza tocca tuttavia all'intelligenza stabilirla. Perché, se non merita la suprema corona, essa sola è capace di assegnarla. E, se non occupa nella gerarchia delle virtù che il secondo posto, solo lei può proclamare che il primo spetta all'istinto».

Contrariamente a quanto descritto da Proust, l’opera di Fimognari, pur partendo da quell’insieme di processi mentali che Proust chiama istinto, o sentimento, è largamente gestita e curata dall’intelligenza, o razionalità.

Lo dimostra la descrizione precisa e analitica dell’ambiente familiare, sia materico che antropico; e il linguaggio, che a volte assume un’esattezza quasi scientifica. Lo dimostra la ricerca scrupolosa del dettaglio, del particolare illuminante, che inquadra situazioni e personaggi di un ambiente, quello borghese e piccolo nobiliare di un paese del meridionale italiano, in parte ancora riscontrabile in tracce nella realtà contemporanea e comunque ben presente nei ricordi di chi è nato nel secondo dopoguerra. Lo dimostra la coerente ricostruzione della vita quotidiana, familiare e personale, adagiata su un benessere derivante per lo più dalla terra e dai suoi frutti.

Lo dimostra, infine, l’uso che si fa della storia, la grande storia, come sfondo mobile alla piccola storia, dei paesi e delle famiglie e delle persone, che scorre indifferente alle umane piccole storie. Ma anche queste a volte sembrano essere indifferenti alla grande storia, finché questa,

dallo sfondo cui sembra relegata, manda un segnale, un piccolo tocco, un refolo, che diviene sempre più importante e devastante man mano che incontra le storie più piccole.

E su tutto domina il divenire, il gran tritacarne del tempo, il “progresso”. E non possiamo allora non pensare che agli influssi letterari e filosofici del Nostro, tra i quali ci sentiamo di ascrivere Walter Benjamin e la sua idea di storia e di progresso. E non possiamo non pensare che tra le icone di riferimento vi sia certamente quell’Angelus Novus di Paul Klee che Benjamin ha assunto a icona del divenire, del progresso, definendolo l’angelo della storia.

Così Walter Benjamin, da Scritti Filosofici, in Tesi di filosofia della storia, tesi n. 9.

«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che gli si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta»

L’angelus Novus di Klee è il nume tutelare dell’opera di Fimognari e dello stesso Fimognari.

Ma torniamo, secondo Sainte-Beuve, all’autore e alla sua biografia, che ognuno interpreta e giudica secondo quanto gli detta la propria biografia, perché noi siamo la nostra biografia.

Quella di Fimognari la potrei condensare in una firma, quella apposta all’Ordine del Giorno, accettato dal Governo, il 23 marzo del 1982 insieme a Calarco, a Vincelli, a Santalco e a Genovese. Era il c.d. Progetto 80, che prevedeva l’integrazione dell’Area dello Stretto su tre livelli: cittadino, provinciale e regionale. Un articolato e complesso documento in cui venne evidenziata l'importanza per il Sistema Italia di un efficace collegamento isola/continente che non fosse puramente strumentale-tecnico ma passasse anche attraverso una solida e strutturata integrazione socio-economico dei territori.

Un’idea che precedeva di molto tempo quella dei c. d. corridoi infrastrutturali terrestri, attualissima ancora oggi e sulla quale ancora si discute. Questo era fare politica quando la politica era intesa secondo l’interpretazione sorgiva del termine, ossia come lungimirante azione per il maggiore interesse della comunità. A quest’idea della politica Fimognari ha sempre dedicato il suo agire, come sindaco e come senatore, ma anche come medico e direttore sanitario, perché tutto è politica quando si opera nel pubblico alla ricerca del bene comune. Ed è questa biografia, questo etico magistero di vita personale e professionale, che ritroviamo in ogni pagina del volume, che più che essere di Fimognari, secondo l’impostazione di Saint-Beuve, è lo stesso Fimognari.

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