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Lunedì, 30 Giugno 2008 12:16

TAPIS RUOLANT E ORDITO URBANO

 

 

Sul finire dell’estate del 2006, nel pieno della querelle tra sostenitori e detrattori dell’idea-progetto del tapis roulant, il cui cantiere era stato posto sotto sequestro giudiziario, nel contribuire al dibattito ho usato una lunga citazione di Carl Schmitt (1888-1985) tratta da “Terra e mare”, un saggio in forma di racconto datato 1942 e indirizzato alla figlia Anima Louise (1931-1983). Fresco di lettura, in esso avevo trovato notevoli assonanze col tema in oggetto.

 

“Eppure la paura umana del nuovo è spesso grande quanto la paura del vuoto. Perciò molti vedono solo un disordine privo di senso laddove in realtà un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento. Non vi è dubbio che il vecchio “nomos” stia venendo meno, e con esso un intero sistema di misure, di norme e di rapporti tramandati. Non per questo, tuttavia, ciò che è venturo è solo assenza di misura, ovvero un nulla ostile al “nomos”. Anche nella lotta più accanita tra le vecchie e le nuove forze, nascono giuste misure e si formano proporzioni sensate.”.

 

È “la paura umana del nuovo”, “spesso grande quanto la paura del vuoto”, a motivare l’alzata di scudi contro il tapis roulant. I detrattori vedono “un disordine privo di senso” (l’alterarsi di equilibri ecologici e sociali) “laddove in realtà un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento” (laddove un nuovo modo di intendere il progresso e lo sviluppo urbano sta lottando per darsi una sua logica interna). “Non vi è dubbio che il vecchio nomos (legge, ordinamento: nel nostro caso la tradizionale organizzazione di strade carrabili, marciapiedi, isole pedonali, ecc.) sta venendo meno, e con esso un intero sistema di misure, di norme e di rapporti tramandati” (ovvero l’usuale ordito dell’urbs). “Non per questo, tuttavia, ciò che è venturo è solo assenza di misura, ovvero un nulla ostile al nomos” (ormai tramontato il tempo dell’acritica e sterile conservazione del patrimonio architettonico urbano, non è affatto detto che gli interventi programmati siano solo devastanti e senza “misura”). “Anche nella lotta più accanita tra le vecchie e le nuove forze nascono giuste misure e si formano proporzioni sensate.” (tra il nuovo che avanza e il vecchio che resiste alla fine si realizzerà un nuovo equilibrio).

 

 

Due anni fa, quindi, ho chiaramente espresso il mio disaccordo con un’impostazione urbanistica troppo rigidamente conservativa: è più semplice mantenere e tutelare le testimonianze materiche del passato piuttosto che creare nuove strutture-simbolo di città o quartieri, non foss’altro perché la creazione del nuovo comporta sempre l’assunzione di rischi; il senso di una città si forma anche nel suo farsi e disfarsi, nel suo divenire, e le mutazioni, anche a volte non la migliorano, sono comunque la sua stessa vita; la città tende a resistere ai cambiamenti, subendoli più che accettandoli, ma comunque li assorbe e li metabolizza.

 

Oggi, osservando ciò che appare del manufatto e la profonda ferita inferta all’ordito urbano, sento di dover parzialmente rivedere il giudizio chiosandolo.

 

La velocità metabolizzazione del nuovo è direttamente proporzionale al rispetto dell’identità dei luoghi, che nel centro storico reggino è rappresentata dal liberty della ricostruzione e della scuola architettonica di Ernesto Basile. Pur mantenendo un’opinione complessivamente positiva verso le dinamiche evolutive della città, non si può non considerare che una struttura più snella, una copertura semplice ed economica in tensostruttura, un’estetica delle porte d’accesso in stile art nouveau, unitamente a un approccio meno invasivo, avrebbero certamente limitato l’impatto del nuovo rendendolo più accettabile.