Lunedì, 06 Agosto 2012 15:54

CONOSCI TE STESSO

Vi sono alcune espressioni ad alto contenuto e valore simbolico che, entrate a far parte integrante della storia della conoscenza, come tali hanno contribuito al suo progresso. Una di queste locuzioni è "conosci te stesso".

Questa proposizione, che Socrate dall'oracolo del tempio di Apollo in Delfi assunse a ideale del proprio filosofare, tracimando ben oltre il significato epistemologico di esortazione a conoscere se stessi e a confessarsi la propria ignoranza

 [«Conosci te stesso!» grida Socrate «conosci te stesso, e confessa a te stesso quanto poco sai!» (cfr. Senofonte, Memorabili, IX,6)], nella speculazione socratica ha un'accezione più ampia: sprone a guardare dentro di sé per meglio definire il proprio vero bene, a porsi come problema e discutersi in un continuo esame interiore della propria condotta, a divenire veramente se stessi con la piena consapevolezza della propria umanità; e, di conseguenza, anche incitamento a scoprire le proprie radici, a rispettare la propria natura, a costruire su di essa il senso d'identità, sia personale che di gruppo che di specie.

Ancora oggi il socratico "conosci te stesso" mantiene intatta la sua valenza; ancora oggi l'incitamento è fresco, attuale, appropriato; e anche intrigante: dall'inizio del pensiero umano, dopo millenni di speculazioni, finanche dopo la poderosa impennata del sapere degli ultimi decenni della nostra storia, ci poniamo ancora le stessa domanda: chi siamo? (per cui anche: da dove veniamo? dove andiamo?).

Noi reggini, trasferendo queste domande al nostro ambito cittadino, possiamo affermare di sapere con sufficiente approssimazione chi siamo? Possiamo dire di avere sufficiente contezza di che cosa sia il retaggio culturale dell'antica Grecia, di quali valori esso sia refere e di quale concreta incidenza possa avere sulla realtà sociale dei nostri giorni? Possiamo dichiarare che il nostro senso di identità sia abbastanza forte da consentirci di affacciarci al futuro senza trascinarci un'idea di storia cittadina sfilacciata e rabberciata? Ovvero, tradita la storia, siamo sicuri di non aver mentalizzato un modello tanto sfumato e indefinito da non essere più in grado di adattare progettualità e operatività ai nuovi corsi sociali?

Sulla scia di siffatto genere di riflessioni, confessato socraticamente che sappiamo di non sapere chi siamo, ritengo che la rinascita della città e del suo modello debba partire da un viaggio culturale: alla ricerca di noi stessi e della nostra identità magno greca. Sarà un viaggio alla ricerca dell'araba fenice? Pur se intimamente consapevoli che alla sua fine si dovrà coerentemente ammettere di non aver raggiunto la meta, avremo comunque la certezza di esserci avvicinati: d'altronde, ciò che veramente importa è che alla fine di ogni viaggio (sia esso lungo o breve, reale o metaforico, concreto o immaginario) si sia diversi, e migliori, rispetto a come si era alla partenza; che si sia aggiunto un altro tassello al puzzle della nostra personalità; che si sia inciso un altro piccolo graffito sulla cultura del nostro tempo.

Non saremo mai in grado di costruire un modello cittadino spendibile sul mercato del turismo se non sapremo divenire una città in cui si respira un'aria antica, in cui gli uomini non siano solo l'ombra genetica dei coloni greci che dall'Eubea, sentito l'Oracolo a Delfi, si imbarcarono verso lidi loro indicati dagli Zanclei per approdare alla foce dell'Apsia, ma siano anche in grado di rappresentarne lo spirito. Per fare ciò occorre conoscersi e imparare a volersi bene, esaltando l'uomo "greco" che è in noi e la sua divina umanità.

Avere un alto senso della propria identità significa riuscire a produrre cultura e benessere; e la città, con il suo portato di storia e memoria, deve divenire una risorsa per se stessa. Solo conoscendo se stessi si può costruire un'identità sufficientemente coerente con la propria storia: e solo con un'identità forte si può costruire un futuro di benessere.

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