Mercoledì, 16 Maggio 2012 17:49

ELIMINARE LE REGIONI, NON LE PROVINCIE

Accorpare le Provincie sarebbe l'unica vera misura di taglio dei costi della politica. Così si è recentemente espresso il monitoring team della Banca Centrale Europea con sede a Francoforte. Il Governo Monti è già su questa linea: con un'intesa parlamentare sufficientemente ampia, mirerebbe alla creazione di 50 macro-aree che andrebbero a sostituire, accorpandone molte, le attuali provincie. Il tutto, naturalmente, senza ostacolare l'istituto della Città Metroplitana e la possibile creazione di quei Liberi Consorzi Comunali già previsti dall'esperienza legislativa siciliana in itinere.

 

Delle attuali 110 Provincie, di cui tre a statuto speciale, secondo quanto si sta producendo in Commissione Affari Costituzionali della Camera, si scenderebbe a 50 macro-aree che dovrebbero avere, come requisiti minimi, un'estensione superiore a 3500 chilometri quadrati con una popolazione maggiore di 400000 unità. La qual cosa comporterebbe una riduzione significativa della spesa corrente statale, essendo la struttura amministrativa dello Stato organizzata su base provinciale: con l'unica eccezione degli accorpamenti già effettuati delle Direzioni del Tesoro e della Banca d'Italia, che ha dimezzato le sue sedi, allo stato attuale Questure e Direzioni Inps insieme a Soprintendenze e Provveditorati, prescindendo dall'estensione del territorio e dalla popolazione residente, hanno infatti una topografia provinciale.

Il problema da risolvere è che il numero delle provincie è stabilito dalla nostra Costituzione per cui è necessaria una legge di livello costituzionale che presuppone una larga e solida maggioranza parlamentare. Comunque si procede e, parallelamente al lavoro della Commissione Affari Costituzionali della Camera, al Senato va avanti il percorso della Carta delle Autonomie che dovrà attribuire funzioni e scopo a questi Enti Locali, già in parte svuotati di importanza con Decreto Salva-Italia. Questo, trasformando le Provincie in enti di secondo livello, ne ha eliminato l'elezione popolare attribuendo ai comuni di area la designazione dei rappresentanti. Presumibilmente le funzioni residuali saranno quelle del governo del territorio, della viabilità e dei trasporti.

Ma è davvero percorribile solo questa strada?

Tutta l'operazione istituzionale non sarà affatto indolore, soprattutto dal punto di vista identitario. Le Provincie hanno infatti una lunga storia, addirittura più antica di quella unitaria: quando nasce lo stato unitario, nel 1861, l'ordinamento dello stato su base provinciale è già attivo dal 1859, anno in cui con il c. d. Decreto Rattazzi vengono istituite le Provincie sulla falsariga dell'organizzazione statale francese.

Le Regioni, al contrario delle Provincie, hanno una nascita molto più recente e un contenuto identitario decisamente inferiore essendo frutto di accorpamenti e divisioni fatte a tavolino. Come previsto dall'articolo 131 della Costituzione, sono venti: di cui cinque a statuto speciale e una di queste costituita da due provincie autonome. Questo ordinamento venne varato nel dicembre del 1947 dopo rimescolamenti e accorpamenti vari: frutto di un lavoro di ingegneria istituzionale, se si escludono quelle a statuto speciale, le Regioni non hanno mai soddisfatto il senso di appartenenza del cittadino italiano, più legato a Città e Provincie, ma sono state "tollerate" come un indispensabile ente amministrativo intermedio tra Provincia e Stato.

Proposta indecente: perché non abolire le Regioni e trasferirne le competenze a queste istituende macro aree provinciali? Nel complesso si avrebbe uno snellimento dell'organizzazione statale rispettando, pur con qualche inevitabile dolorosa perdita, la storia e le tradizioni dei luoghi. A noi reggini ci potrebbe andrebbe alla grande: ci sganceremmo definitivamente dal giogo bruzio con la riedizione in salsa federalista di quella Calabria Ulteriore Prima istituita da Ferdinando IV di Borbone con Regio Decreto il primo maggio del 1816.

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