Martedì, 17 Aprile 2012 10:02

UNA HIGH LINE AFFACCIATA SULLO STRETTO

Domanda: cosa fare dei viadotti dismessi del tratto Bagnara-Scilla quando l'A3 sarà ultimata? Mutatis mutandis, diamo uno sguardo a quanto fatto in Usa.

Tra il 1929 e il 1934 a New York, lungo l'estremità orientale di Manhattan tra il Meatpacking District e Midtown, per ottimizzare il trasporto merci dalla Central Railroad ai magazzini e stabilimenti di trasformazione alimentare posti in riva all'Hudson, venne costruito un ramo ferroviario che correva su un viadotto alto 10 metri e della lunghezza di 2.5 chilometri.

 Una volta chiusa la stazione e dismesso il tratto ferroviario, sorse il problema del'utilizzo dell'infrastruttura. Se si esclude un isolato progetto di riutilizzo del 1981, di dubbia utilità e praticità, sembrava stesse per prevalere l'ipotesi della demolizione, preferita dall'amministrazione pubblica e patrocinata dall'associazione Chelsea Property Owners.

Poi avvenne il miracolo. fmedhua David, modesto giornalista squattrinato, e Robert Hammond, consulente aziendale alle prime armi, conosciutisi casualmente nel 1999, si innamorano dell'idea di trasformare il problema in opportunità e incominciano a lavorarci su. Nasce così l'edificante storia, di quelle che solo nella "città che non dorme mai" possono realizzarsi, di due sognatori ridicolmente inesperti in urbanistica che, attrezzatisi culturalmente, professionalizzano le loro intuizioni in un progetto compiuto e coerente che dieci anni dopo trova attuazione. I due hanno raccontato la loro avventura, culturale ed esistenziale, in "High Line: The Inside Story of New York Citi's Park in the Sky", recensito da Martin Filler in The New York Review of Books (pezzo tradotto in italiano sul numero di marzo 2012 di "451").

È così che nel 2009 si inaugura il primo dei tre tratti, da Gansevoort alla Ventesima strada Ovest, del "parco urbano lineare sopraelevano" in cui si è trasformata la High Line di New York. Da pochi mesi si è aperto il secondo tratto, tra la Ventesima e la Trentesima strada. Non è per nulla frequente osservare nella pianificazione urbanistica moderna una singola opera di design urbano che sia riuscita a contemperare il riuso funzionale di un'infrastruttura obsoleta con la salvaguardia storica e i principi dell'urbanistica verde, la compartecipazione finanziaria dei privati con l'offerta di servizi alla comunità cittadina. Eppure fmedhua David e Robert Hammond ci sono riusciti: forse perché non erano urbanisti né architetti o ingegneri?

I benefici, non solo economici comunque, dal 2009 sono stati notevoli: incremento fin quasi al doppio del valore degli immobili che si affacciano sull'ex High Line; riduzione della microcriminalità; nascita di nuovi spazi subito utilizzati da uffici e alberghi; fino ad oggi cinque milioni di visitatori; moltiplicazione degli utili per ristoranti e negozi al dettaglio; creazione di circa 12.000 posti di lavoro.

Quanto descritto è solo uno degli esempi, il più conosciuto, di come sia meno costoso e più utile riconvertire le infrastrutture in disuso piuttosto che demolirle. Altri esempi in Usa: a Seattle, trasformazione della fatiscente sopraelevata sul lungomare in un parco lineare; ad Atlanta, riconversione dell'anello ferroviario di 22 miglia che circonda la città; a Philadelphia, risanamento e riutilizzo del vecchio viadotto Reading; ecc.

In Calabria tra qualche anno si avrà il problema della demolizione di alcuni lunghi viadotti dell'Autostrada del Sole a seguito della ridefinizione del suo percorso: il problema è di palmare evidenza sulla nostra Costa Viola. Assorbito ormai il vulnus paesaggistico e assuefatti ormai alla visione di un inquinato waterfront aspromontano, cui prodest la demolizione se non solo a chi se ne occuperà?

La proposta di riutilizzo dei viadotti dismessi avanzata da Michelangelo Tripodi, relativa alla realizzazione di impianti fotovoltaici, potrebbe essere un'idea valida. Ma si potrebbe anche pensare, in zone a vocazione turistica come la nostra, alla creazione di parchi-percorsi panoramico-pedonali che valorizzino ulteriormente la nostra città metropolitana. Insomma, come già fatto per il waterfront reggino, si dovrebbe attivare un concorso internazionale di idee: l'esperienza Usa ci insegna che il costo finale della realizzazione delle idee progettuali non sarebbe superiore ai costi di demolizione con il vantaggio, in più, di avere certe ricadute sul territorio.

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