Martedì, 31 Gennaio 2012 09:35

LE PROVINCIE NEL LABORATORIO SICILIA

Nel dibattito sull'utilità delle Provincie, che avrebbe avuto un corso migliore se la politica non si fosse impantanata in personali miserrime questioni, nel settembre del 2010 è entrato di prepotenza il governatore regionale siciliano Raffaele Lombardo che, nonostante sia stato presidente della Provincia di Catania e dell'Unione delle Provincie Italiane, aveva intenzione di varare una legge regionale che abolisse questo ente intermedio.

 

La soluzione allora proposta è intrigante e, mutatis mutandis, potrebbe essere esportata in Continente risolvendo, come nel caso della Calabria e della Provincia reggina, i problemi relativi alla delimitazione delle varie aree.

La ratio della proposta di legge regionale siciliana è chiara: posto che nello statuto regionale originario del 1946 non erano contemplate le Provincie, poi reintrodotte nel 1986; considerando il loro alto costo (57 milioni in media all'anno per ognuna con picchi di 194 e 170 per le maggiori di Palermo e Catania) e le loro ristrette competenze (viabilità e istruzione); si vorrebbe sostituire l'Ente Locale Intermedio con le Città Metropolitane e i "Liberi Consorzi di Comuni".

La novità siciliana risiede nella creazione di questi consorzi intercomunali, che andrebbero a svolgere il ruolo e le funzioni delle Città Metropolitane ove non presenti e, nei fatti, consentirebbero di non far necessariamente coincidere il territorio provinciale con l'area metropolitana (cosa che l'impianto della legge nazionale sulle autonomie locali, per come è stata impostata, fa intendere). Superato lo scoglio dell'art. 114 della Costituzione italiana, che espressamente prevede la presenza dell'Ente Locale intermedio tra Regione e Comune, la Sicilia si potrebbe presentare dal punto di vista della divisione territoriale in maniera diversa da come è ora.

Qualche esempio: la città metropolitana di Palermo sarebbe costituita solo dalla fascia costiera della sua provincia, da Termini Imerese a Partinico; i comuni interni delle Madonie e dei Nebrodi si unirebbero in un unico Libero Consorzio Comunale; nell'Agrigentino sorgerebbe un Consorzio intorno a Sciacca e, nel Calatino, un altro con fulcro a Caltagirone; Catania e Messina, città metropolitane, potrebbero perdere parti delle loro Provincie (ad esempio, un Consorzio libero potrebbe far perno su Taormina, che rinomatamente soffre del giogo zancleo, e un altro si costituirebbe con le isole Eolie).

Questo tipo di suddivisione territoriale, insomma, discenderebbe non solo dai limiti territoriali provinciali già esistenti ma terrebbe conto anche di quelle identità dei luoghi che vanno oltre il dato meramente geografico.

Adattato alla Calabria, e alla Provincia reggina, questo schema potrebbe prevedere un'organizzazione territoriale costituita dalla Città Metropolitana di Reggio e dai Liberi Consorzi Comunali della Piana e della Locride. Con questo schema identitario, inoltre, un Libero Consorzio Comunale si potrebbe creare nel Lametino, da sempre con interessi suoi propri e a volte collidenti con quelli del capoluogo, e almeno un altro paio nel Cosentino, dal territorio tanto vasto e variegato da potersi configurare quasi come regionale. Catanzaro, Vibo e Crotone sarebbero i comuni di riferimento di altri Consorzi. Piccoli Liberi Consorzi Comunali potrebbero altresì nascere il luoghi dalla forte identità linguistica o culturale, come ad esempio nella zona grecanica del reggino.

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