Gambarie Hotel Miramonti - 11 agosto 2019
l'incontro organizzato dall'Unuci
Intervento di Vincenzo Vitale presidente Fondazione Mediterranea - short version
Nel parlare del ruolo della donna nel sociale e nel volontariato non si può non affrontare il tema del femminismo e del ruolo svolto da questo movimento nel processo di progressiva emancipazione della donna e riconoscimento dei suoi diritti civili, che possiamo considerare ineludibile premessa al tema odierno. Ciò detto, comunque, non possiamo non porci alcune domande.
Posto che con il termine femminismo noi identifichiamo un movimento che, ritenendo il sesso femminile discriminato e subordinato a quello maschile, sostiene la parità politica-sociale e lavorativo-economica tra i due sessi, nella convinzione che il genere non deve essere predominante nel modellare l’identità sociale e i diritti della persona, oggi, quando i diritti della persona sono un’acquisizione stabile della nostra civiltà occidentale e il concetto di subordinazione di genere di fatto non esiste più, e quando si è a tal punto strattonata questa idea di parità di genere da farlo divenire bandiera dell’eliminazione tout court delle differenze sessuali, è ancora logico e utile, oltre che eticamente corretto, parlare ancora di femminismo?
Nel Manifesto di Rivolta femminile, del luglio 1970, possiamo leggere: «Il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società ». Possiamo consentire che questa critica si spinga tanto in là da mettere in crisi il modello naturale di famiglia e un sistema di convivenza sociale che, pur nel riconoscimento di uguali diritti a tutte le persone, riconosca de plano come un’ovvietà il fatto che l’uomo e la donna non sono uguali?
È appunto questa differenza ineliminabile, di pensiero e comportamenti, di espressione sensoriale e relazionalità sociale, oltre che naturalmente fisica, che in generale corrisponde a quella diversità che dà il vantaggio evolutivo alle razze animali bisessuate, che viene esaltata nel diverso ruolo che l’uomo e la donna assumono, oltre che nell’attività lavorativa e nella famiglia, anche nel sociale e nel volontariato.
Quando ci si piega all’ascolto della sofferenza, un piegare non solo metaforico ma che a volte è un letterale piegarsi all’ascolto della flebile voce dell’allettato, quando v’è da capire il non detto e intuire i bisogni a volte difficilmente esprimibili per handicap, quando occorre ridare dignità alla persona anche nei gesti quotidiani della vita, è allora che un approccio diverso, razionale o emotivo, logico o sentimentale, può fare la differenza e trasformare un atto di condivisione e compassione in un utile e pragmatico approccio al problema assistenziale.
La donna, per sua natura, quella natura che un certo femminismo vorrebbe umiliare dissolvendola in una generica e indistinta parità di ruoli e mansioni, è particolarmente vocata a quel tipo di assistenza empatica che sta alla base di un utile impegno nel volontariato ed è particolarmente sensibile nel cogliere alcune sfumature relazionali la cui focalizzazione costituisce un indubbio vantaggio nell’interpretazione delle problematiche sociali.
Sono queste differenze che rendono utile e insostituibile il ruolo della donna nel sociale e nel volontariato.